Mario Adinolfi: Diario di una campagna a febbraio - 16° giorno
Penultima domenica di campagna elettorale, c’è la prossima e poi si vota. Nicola mi porta in tutti i gazebo aperti dal Popolo della Famiglia sul territorio, che è vasto e raccoglie oltre centosettantamila abitanti, più di Cagliari o Perugia per capirci. Si va dar “core de Roma” che è Testaccio fino a piazza della Balduina dove incontro la candidata M5S in cappottino bianco. Vado a presentarmi e a farle un cordiale in bocca al lupo ma lei se la tira un po’ e il suo accompagnatore al gazebo mi si presenta senza dirmi il nome ma dichiarandosi “omosessuale”. Ora, capisco che dopo il coming out della Schlein molti hanno capito che esplicitare l’appartenenza alla lobby aiuta a fare immediata carriera politica, ma il tizio in questione secondo me ha molta strada da fare e non sarà particolarmente agevolato dalle peripezie combinate sotto le lenzuola. So poi l’intento era quello di impressionarmi, poverino. Comunque netta la sensazione di un M5S alla canna del gas.
Anche di fronte al nostro gazebo di piazza San Cosimato a Trastevere sventolava la bandiera arcobaleno portata in onore dello sconosciuto candidato di Volt che, pure lui, si presenta come “gay sposato”. Pensano tutti di stare al festival di Sanremo, mi sa. Su Twitter il tizio in questione mi intenta anche un rapido processo per “omofobia” a cui rapidamente mi sottraggo, abbiamo già dato ai tempi del Pd. L’aggressività non mi aiuta a ricordare come si chiama il tizio, mi pare solo che abbia due o tre cognomi.
Ieri al Tg3 è andato in onda uno di quei servizi obbligati dalla par condicio, hanno fatto sentire me e Marco Rizzo, sostenitore del comunismo nordcoreano e ex parlamentare con ricco vitalizio, ovviamente non devoluto alla redistribuzione del reddito. Se la deve vedere con una di Potere al Popolo più incazzata di lui e con Roberto Gualtieri che il comunista lo faceva solo negli Anni Ottanta, ora fa il ministro dell’Economia rigorista che annuncia l’ennesimo Family Act senza metterci un euro. I cattolici in Emilia Romagna hanno capito che il Pd li prende ormai sempre e solo per il culo, vince l’opzione Schlein e i cristiani tornano buoni solo se s’acconciano a squadra in materia di immigrazione, se provano a parlare di famiglia e non ci aggiungono subito “arcobaleno” sono fascisti, se provano a dire che la denatalità è un problema che non si combatte con novantamila aborti e seicentomila scatole di pillola dei cinque giorni dopo, diventano fascisti bigotti retrogradi e ovviamente omofobi. I cattolici a Roma ancora non hanno capito. Tanti voteranno Pd il 1 marzo. Ma l’unico voto coerente è quello dato al Popolo della Famiglia e alle straordinarie squadre che incontrate ai gazebo.